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A spasso con il cagnolino

Il manuale del perfetto genovese trapiantato all’estero, se esistesse, non solo dedicherebbe un intero capitolo alla colonizzazione degli scogli, ricco di aneddoti e dettagli piccanti, ma suggerirebbe di dedicarsi anzitutto agli animali con estrema cura, poiché essi e non gli umani reggono le sorti degli scogli, delle isole, dei condomini e degli universi.

Prima o poi qualcuno dovrà scriverlo e qualcun altro pubblicarlo: se non altro, per colmare l’enorme voragine a forma di punto interrogativo che rischia di inghiottire a breve tutto il sapere occidentale, e che le menti più illuminate in circolazione sono usi riassumere in una sola fondamentale domanda: “ma i can da mussa?”

(Sì, proprio quelli, senza bisogno di verbo o di altri inutili orpelli grammaticali per meglio specificare. E non chiedetemi cosa è un can da mussa, se non siete genovesi: impossibile spiegare, sforzatevi di arrivarci da soli! Certe cose sono innate o si capiscono al volo, proprio come questo articolo.)

Ecco, gli animali. I cani, in particolare. I cani di piccola taglia, dal musetto puccioso, per di più con una zampina amputata che può solo ispirare tenerezza e affetto, specialmente nelle giovani donne. Ma come diavolo ho fatto a non pensarci subito? D’accordo, ne vengo da un periodo piuttosto incerto e travagliato, anche sentimentalmente, ma certe cose sono fondamentali, soprattutto per un single all’estero. Comunque, presto o tardi che sia, ci sono arrivato, e questo è l’importante.

Dicevo, il cane. Nella fattispecie, il cagnolino dell’amica che gentilmente mi ospita e che è attualmente fuori casa e alla quale ho promesso di badare insieme al gatto – nel senso che il gatto mi sta dando una mano, pardon una zampa, per gestire il simpatico cerbero tripede in miniatura, semplicemente facendosi gli affari suoi come e più possibile, come del resto amiamo fare noi felini di tutte le taglie.

Insomma, stamattina porto il cerberino fuori per il normale giro perlustrativo. Tra una pisciatina sua (in realtà 298, 1 ogni 5 metri, tutte con mirabili acrobazi circensi: giravolta, culo insù, spruzzata e voilà) e un’occhiata mia, mi dirigo verso un’amena baietta su cui, dai primissimi caldi in qua, sono soliti spiaggiarsi esemplari turistici di pregevole fattura, non distante dai bidoncini atti a raccogliere le primizie dei migliori amici dell’uomo. Con mio stupore, scorgo ben due simpatici animaletti di coscia e capello lungo sicuramente bisognose di riversare la parte eccedente della loro spropositata affettitivà su un cagnolino carino e sfortunatello; e con stupore ancor più esagerato, colgo due abbozzi di sorriso pronti a indirizzarsi a lato della mia scarpa sinistra. Immediatamente, con sapiente ma discreta tiratina di guinzaglio mostro al canide le prede, ma quello mi ignora.

La tiratina diventa un po’ meno discreta, diciamo quanto basta per condurlo al limite del bagnasciuga dove, ovviamente con mia enorme sorpresa, un audace bikini si sporge verso di noi nel tentativo di carezzare l’ammassino di peli al passaggio. Ma la bestiola la schiva, puntando decisamente all’altra preda. Io e il bikini allarghiamo le braccia in sincrono, mentre l’altra ragazza fa già mostra di vivo interesse e non solo di bella mercanzia. Ha estratto un telefonino e lo punta sulla bestiola. La quale prontamente si gira per offrirle il culo e, già che c’è, una mezza tonnellata di sabbia in omaggio; non potendo allargare di nuovo le braccia, io fingo di riprenderlo in italiano, con voce melliflua, in realtà cioè intimandogli di apparecchiare almeno lo sguardo più languido che può, pena l’aggiunta di verdure nella ciotola, traducendo il tutto in un inglese ancor più sdolcinato: “è proprio un angioletto, vero?”

Lei annuisce.

A questo punto penso che sia fatta. Due piccioncine con un tiro solo, o quasi.

Quasi.

Faccio per avvicinarmi e attaccare seriamente bottone quando, con la coda dell’occhio, scorgo il cerberino sollevare la zampetta fantasma a pochi centimetri della prima piccioncina, che si era nel frattempo coricata. Vigliacco! Neanche il tempo di strattonarlo via che il bikini è scattato in piedi come una molla, ululante come una megera in un talk show di mezza sera. L’altra si è ritratta schifatissima, come neanche un vegano davanti alla fiera dell’arrosticino.

Avendo già pisciato ogni cinque metri da casa a qui, il cane non ne aveva più, è evidente, ma tutto è inutile.

“Sorry, my apologies, I beg your pardon!” faccio un estremo tentativo.

Ma le due piccioncine sono diventate per magia due arpie: una metaforicamente, per via degli ululati divenuti suoni gutturali tipici di certe lingue nordiche (sospetto fosse bresciana), l’altra letteralmente per via del cappottino con collare di piume magicamente apparsole sulle spalle (ma chi diavolo va in spiaggia vestito da avvoltoio sudamericano? una sudamericana, suppongo).

Non mi resta che farmi piccolo piccolo e rinculare verso dove sono venuto, con un sacchettino in mano e il guinzaglio nell’altra. Dieci metri più avanti, il cagnolino che trotterella fiero simulando un’annaffiatina alla panchina dove, per incanto, una gentile e piacente signorina sta gustando un gelato.

La catastrofe.

Addio sogni di colonizzazione…

…ma anche no! E’ solo il primo giorno d’addestramento. Non è che si diventa can da mussa da un giorno all’altro, così come non si diventa conquistatori di arcipelaghi a tavolino. Lo si nasce soltanto!

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